Quando si parla di alimentazione e patologia siamo inconsciamente portati a pensare che l’alimentazione rappresenti una vera e propria strategia di cura e risoluzione. Col rischio di palesare la mia riflessione come provocatoria e/o nichilista, trovo sensato prendere le dovute distanze da questa linea di pensiero. L’alimentazione non è una cura, il cibo non è una medicina. Il fatto che la vitamina A (o retinolo) abbia un ruolo ampiamente comprovato nella funzione visiva non significa che una dieta tracimante di fegato bovino e carote sia efficace nel sanare la miopia, o nel ripristinare la vista di un non vedente. Ciononostante è vero che una dieta estremamente carente in vitamina A (parliamo di condizioni estreme come malnutrizioni per difetto nel terzo mondo, iponutrizione cronica nei disturbi alimentari di tipo restrittivo, e così via) può provocare difetti della vista fino – se prolungata nel tempo- alla cecità. Quello che intendo è che il fatto che un alimento, un nutriente o un micronutriente rivesta un ruolo riconosciuto nei confronti di una funzione biologica (o meglio, fisiologica) non implica che una sua assunzione smodata, soprattutto senza il riscontro effettivo di una carenza, porti alla risoluzione di un quadro patologico, caratterizzato cioè dalla perdita della funzione biologica in oggetto. Questo è vero nella maggior parte dei casi, a meno che non siano presenti evidenze scientifiche in letteratura che possono giustificare la scelta di certe supplementazioni tramite alimentazione orale spontanea, supplementi nutrizionali orali (ONS) o nutrizione enterale. La falsa informazione alimentata dalla dilagante egemonia del web e dei social network, nonché dalla tendenza dell’essere umano a speculare sulla fragilità e sull’ignoranza dell’altro, sono le principali responsabili dell’estrema caducità di questo sottilissimo confine, cioè tra ciò che è giustificato ed efficace in quanto SCIENTIFICAMENTE PROVATO e ciò che invece, semplicemente, NON-LO-E’.

In una sfera complessa, fragile e delicata come quella delle patologie neurologiche questo concetto assume una valenza cruciale. Le malattie neurologiche (per esempio la Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la Malattia di Parkinson (MP), la sclerosi multipla (SM) – per citarne alcune) sono correlate per una svariata serie di motivi (il cui approfondimento non rientra nelle mie competenze) ad uno stato (o ad un elevato rischio) di malnutrizione, poiché nel decorso patologico tendono a verificarsi alterazioni che – più o meno direttamente – vanno a modificare i fabbisogni energetici e/o di substrati specifici. Prevenire ed eventualmente correggere uno stato di nutrizione compromesso o precario consente di migliorare e talvolta modulare la risposta dell’organismo alle terapie mediche, altre volte di ritardare il decorso della patologia, ottimizzare il funzionamento biologico del corpo… Ciò si traduce inevitabilmente in un beneficio in termini di qualità di vita nel suo complesso, poiché “Vivere” è estremamente diverso da “Sopravvivere”.

Dott.ssa Vinci Eleonora

Dietista Biologa Nutrizionista

Neurologia e Alimentazione: perché una corretta nutrizione in patologia è fondamentale

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