Uno dei concetti più complessi da cogliere è che non sempre è possibile intuire che una persona soffre di un disturbo alimentare attraverso il peso. La maggior parte delle volte anzi, il disturbo alimentare assume forme e modalità che non producono una variazione significativa dell’indice di massa corporea, che seguita ad indicare una condizione di normopeso. Ed è questa attribuzione ad essere devastante, sia perché fuorvia le persone e gli operatori che si rapportano con queste unità ermetiche e sofferenti dall’effettuare una diagnosi, sia (e soprattutto) per i soggetti stessi, che vedono realizzare e confermare ANCHE dall’Altro l’equazione di identità tra peso e sofferenza. Cioè, asserendo che soltanto attraverso il peso è possibile parametrare la sofferenza rinforziamo nella persona stessa questo concetto, che già di per se è una questione esistenziale determinante e pervasiva.
Le persone con disturbo alimentare esprimono il loro dolore attraverso comportamenti che vanno ad alterare tutto ciò che tocca la sfera del cibo e di ciò che PUÒ INFLUENZARE il peso corporeo. E questo accade attraverso una combinazione di comportamenti che è infinitesimale, cosicché la gran parte delle combinazioni risultanti può conformarsi a parametri che per la scienza vengono definiti NORMALI. Essere definito NORMALE per la persona che soffre di un disturbo alimentare è intollerabile, ed è micidiale. Chi soffre di un disturbo alimentare percepisce se stesso come un ammasso informe ed incoerente di anormalità, mentre ambisce disperatamente la normalità. Dovremmo sempre valicare l’apparenza, domandarsi i perché dei fatti, dei comportamenti, i perché del mondo…
Dott.ssa Eleonora Vinci Dietista Biologa Nutrizionista
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