Sono stati proposti molti film con l’intento di raccontare il Disturbo Alimentare attraverso la pellicola, a mio avviso con risultati sempre piuttosto scarsi, e questo probabilmente si riconduce al fatto che fino a poco tempo fa di Disturbi Alimentari se ne sapeva ma soprattutto se ne parlava veramente poco. È logico: per investire su una produzione deve esistere una buona probabilità in termini di risultato. Oggi si parla molto di più di malattie mentali, e lo si fa sempre con meno filtri (infondo per arrivare al cuore e alla memoria delle persone, talvolta è necessario essere diretti e provocatori).
Negli ultimi mesi sono state proposte da Netflix due serie tv in particolare, che meritano una menzione al fine di promuoverne la diffusione mediatica. Lo scopo è quello di incrementare la conoscenza e soprattutto l’interesse del mondo nei confronti dei Disturbi Alimentari, perché più se ne parla e più è possibile prevenire e curare.
Cominciamo con “Everything now”, serie inglese creata da Ripley Parker e ambientata in una scuola superiore del Regno Unito.
Ho apprezzato molto la produzione (gli inglesi continuano a non deludermi), perché offre in modo alternativo degli spunti tanto sottili quanto essenziali per la reale comprensione del Disturbo Alimentare, spunti che vanno oltre le classiche rappresentazioni della malattia con il mero corollario di sintomi e/o la mortificazione del corpo. Quello che contraddistingue la serie è parte introspettiva della protagonista, che a fronte dei profondi e radicati disagi legati al disturbo tenta disperatamente di calarsi nella realtà di vita di un’adolescente. Attraverso il contrasto tra le sue introspezioni e l’ambiente esterno arriva dritto al cuore quanto questo passaggio (quello dall’adolescenza all’età adulta) sia tremendamente complesso e dolente, arriva il bisogno, la spinta, la volontà profonda e disperata di sentirsi e di essere “NORMALE”, mentre si vive la costante percezione di essere difettosa, inadeguata, fallace, “DIVERSA”…
Se il fine è quello di arrivare agli occhi del mondo, la vera intuizione è stata quella di portare i disturbi alimentari nella sesta stagione di SKAM ITALIA. La serie gode infatti di una popolarità piuttosto elevata dal 2018.
Forse non tutti sanno che il precursore di “SKAM” è “Skins”. Nonostante cominci ad essere una serie un po’ datata (il rilascio della prima stagione risale al 2008 in Italia) continuo a divulgarne la conoscenza ad amici, colleghi e talvolta pazienti (le prime due stagioni). In effetti sono trascorsi sedici anni, un intervallo di tempo all’interno del quale sono cambiate moltissime cose in termini sociali ed etici. In Skins si parlava già di disturbi alimentari, si parlava di dipendenza da sostanze, si parlava di adolescenza, se ne parlava e si soprattutto si percepiva, ricordo una sensazione fisica molto potente dopo la fine di ogni episodio. E SKAM si presenta in effetti come la versione aggiornata di Skins. E ce ne era bisogno, di una versione attuale, che annoverasse soprattutto l’aspetto dei social. I social stanno avendo un impatto sempre più consistente e non soltanto sugli adolescenti. I social ormai fanno parte del mondo e la risposta più efficiente e ragionevole che possiamo avere è capirli ed accoglierli al fine di una gestione intelligente.
Veniamo al Disturbo Alimentare.
Il disturbo alimentare in SKAM 6 non viene presentato enfatizzando il sintomo alimentare. Quello che viene promosso è l’incentivo a sviluppare una capacità critica e sensibile, a porsi sempre molte domande prima di formulare un giudizio sulle persone, soprattutto se adolescenti, anche di fronte a chi si mostra sicuro e carismatico, perché molto spesso ‘l’apparenza inganna’. E i disturbi alimentari hanno moltissimo a che fare col divario tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra ciò che vorremmo essere e che vorremmo apparire, tra quello che comunichiamo e quello che vorremmo comunicare, e poi hanno moltissimo a che fare con l’impossibilità di riuscire a conciliare tutto questo.
Un commento inerente al corpo.
La protagonista ha un corpo oggettivamente molto esile, e chi lavora con i disturbi alimentari come me potrà confermare che ciò potrebbe incentivare la spinta alla magrezza che caratterizza la malattia. Mi sento di dire, tuttavia, che guarire dal disturbo alimentare significa anche arrivare a ridimensionare la magnificenza che viene attribuita al corpo, significa imparare a non vedere il mondo in termini di magrezza o grassezza, perfezione o imperfezione, significa imparare a non formulare giudizi e stime in base alla corporeità, nei confronti di se stessi e del mondo circostante, significa imparare a non saggiare l’esistenza in termini di bianco oppure di nero, perché se lasci il tuo disturbo alimentare, vedrai, dentro, oltre al corpo, siamo tutti colorati.
Dottoressa Eleonora Vinci Dietista Biologa Nutrizionista
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