“Le anoressiche mentono”, si sente dire spesso, forse dovrei aver imparato a farmi scivolare addosso questa devastante aberrazione, non lo so, la realtà è che ad oggi non riesco a farmi scivolare addosso ancora niente.
Primo perché definire le persone che esprimono un sintomo alimentare con la stessa malattia (le anoressiche, le bulimiche…) non solo è scorretto, è persino nocivo e ancora irrispettoso nei confronti di soggetti che vivono una profonda crisi con la loro identità ed interiorità. Secondo perché non è affatto vero che le persone che soffrono di anoressia sono bugiarde: quella che mente è soltanto la malattia. Spesso gli stessi pazienti non ne sono coscienti, talvolta lo diventano, ma continuano a tessere una fitta rete di menzogne nel tentativo di conferire una forma ed una parvenza di logica al loro folle comportamento, perché se ne vergognano.
Shakespeare scriveva nell’Amleto: “C’è della logica in questa follia.”
Il disturbo alimentare è ambivalente, ogni istante che passa è straziato da una profonda ed intensa scissione interiore. Al momento di lucidità segue il pensiero disfunzionale, perché la malattia lotta per la propria sopravvivenza esattamente come la parte ancora sana della persona che la ospita. Ecco che fare leva sul momento di lucidità è fondamentale. La persona malata avrà sempre il timore di ciò che è nuovo e tenderà a fare di tutto per tentare di procrastinare il momento di affrontare le proprie paure. Il terapeuta deve essere in grado di cogliere quel sottile confine tra l’accogliere le sue richieste – cioè, quelle della malattia – e il mantenere un atteggiamento risoluto e determinato. Il paziente avverte e respira la sicurezza del suo terapeuta, e altrettanto la sua insicurezza. “Fa ogni giorno una cosa che ti spaventa”, ripetiamolo sempre, ai nostri pazienti ma anche a noi stessi, perché al fine di ottenere una collaborazione sincera ed efficace dobbiamo credere in ciò che diciamo, dobbiamo crederlo e dobbiamo provarlo.
Dott.ssa Vinci Dietista Biologo Nutrizionista
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