“Le zucchine… Si, le mangio, ma soltanto bollite. Quelle che prima cucinava sempre mamma, quando ero piccola insomma… Ecco, quelle invece no.”

“Perché Giulia? Ti va di spiegarmi il perché di questa tua scelta – ammesso che una scelta sia – ?”

“Beh, non so esattamente come le cucinava, c’erano anche le carote, non ricordo bene, ricordo soltanto che erano TROPPO buone.”

“E quindi? Non è una cosa bella?”

“No, perché se sono buone mi faranno sicuramente ingrassare, e quindi mi dico – cioè, la voce che ho dentro mi dice – : ‘Giulia dai, resisti!’”

“Quindi Giulia, se ho capito bene, questa voce ti dice che quello che ti piace, quello che ha un sapore, un colore, una storia (le preparava sempre mamma, PRIMA, giusto?)… È pericoloso, e dunque va tassativamente ed assolutamente evitato.”

“Si, credo di si… Se ci rifletto è così.”

Ieri con Giulia abbiamo parlato della connessione esistente, nel sintomo anoressico, tra ricordo, sapore, piacere per determinati alimenti e la loro esclusione dalla dieta.

Secondo una logica semplicistica e superficiale siamo portati a pensare che nella Bulimia si profili un ribaltamento dello scenario: durante il sintomo bulimico il soggetto si abbandona alle proprie pulsioni ubriacandosi di un piacere oltremisura.

Le cose non stanno proprio così.

La Bulimia e il Binge nascono in effetti come fallimento del proposito anoressico.

Il Disturbo Alimentare cioè, è uno soltanto.

Non a caso ho utilizzato il termine ‘sintomo’ anoressico/bulimico, perché niente vieta che un individuo attualmente in fase restrittiva si svegli l’indomani con l’imperioso e seducente desiderio di cibo proprio del sintomo bulimico.

Il viraggio sintomatologico nel Disturbo Alimentare non è dettato soltanto dalla psico-biologia: la stretta relazione che esiste tra il rifiuto del cibo e la sua incontenibile bramosia è una questione esistenziale. Rifiutare e/o divorare il cibo rappresenta una precaria soluzione all’incapacità di gestire il caleidoscopio di colori della propria vita. Cioè: se penso al cibo, o penso a creare ogni espediente per non-pensare al cibo – finendo comunque per pensare al cibo -, se mi ingozzo di cibo fino a star male, quando sono solo e contro la mia volontà il cervello e il cuore mi erompono dal corpo, il mondo si ferma. L’ossessione per il cibo mi permette di congelare il tempo, allora non sarò vincolato a dipanare e a far collimare tutti gli altri elementi che nella vita reale mi creano tante difficoltà.

Inebriandomi della fame fisica durante il sintomo anoressico e annegando nell’orgia dei sapori durante quello bulimico posso procrastinare, sospendere, imbalsamare per un tempo indeterminato il confronto con me stesso, con gli altri, col mondo.

Dott.ssa Vinci Eleonora Dietista Biologa Nutrizionista

Il sintomo anoressico e il sintomo bulimico

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