Effettuare una Riabilitazione Nutrizionale in un paziente con Disturbo Alimentare sottopeso è un processo complesso. E’ abbastanza ovvio ed immediato che ai fini del recupero del peso l’apporto calorico – in relazione al dispendio energetico totale – debba essere gradualmente aumentato. Questo non è sufficiente.
Le persone con un Disturbo Alimentare tendono a categorizzare gli alimenti in ‘cibi si’ e ‘cibi no’, riducendo progressivamente la gamma di alimenti introdotta. All’esordio del disturbo vengono più comunemente ridotti gli alimenti ricchi in carboidrati, poi in grassi, e così via. Ci tengo sempre a sottolineare e ribadire che non esiste una regola uguale per tutti, perché in questo disturbo si comunica ‘ciò che si ha dentro’ col cibo, e ‘ciò che si ha dentro’ non è un parametro standardizzabile. Poiché si ha paura del cambiamento (il Disturbo Alimentare tende a minimizzare il rischio e l’incertezza attraverso l’impiego di rituali e comportamenti ossessivi che si ripetono giorno dopo giorno) non è infrequente che il paziente sia disposto ad aumentare l’apporto calorico attraverso l’incremento – anche esasperato – dei ‘cibi si’, ovvero quelli che riesce ad introdurre con relativamente meno ansia e timore. Purtroppo la (non) volontà del paziente è assecondabile solo entro un certo limite, per due motivi. Uno è scientifico, biologico: una dieta salutare deve essere bilanciata e fornire macro e micronutrienti essenziali che se vengono a mancare generano un quadro di malnutrizione a prescindere dal fattore energetico. L’altro è ai fini della terapia e della riabilitazione in senso globale: la persona deve essere gradualmente ricondotta ad un comportamento alimentare funzionale, anche attraverso l’assunzione di una gamma di alimenti più vasta possibile.
Per fare questo noi Dietisti formati sui Disturbi Alimentari ricorriamo ad un prezioso strumento chiamato ‘Desensibilizzazione sistematica dei cibi fobici’, o ‘Piramide dei cibi fobici’. Facciamo un esempio.
Scelgo un nome di fantasia, Marco. Scelgo intenzionalmente un nome maschile per confutare la credenza che queste malattie affliggono esclusivamente il genere femminile. Durante il colloquio chiederò a Marco di disegnare una piramide con diversi gradini. Nel gradino più basso (cioè alla base) Marco scriverà gli alimenti che riesce a mangiare regolarmente e con relativamente poco timore. Man a mano che sale di livello Marco inserirà i cibi che generano in lui una forte ansia e che dunque tende ad assumere raramente, oppure a non assumere, oppure ad assumere esclusivamente attraverso le abbuffate… Ma questo, quello delle abbuffate, è un altro capitolo.
Tornando alla piramide e a Marco: perché questo strumento è così utile ed efficace?
Da un lato ci fa da guida per implementare di volta in volta il piano alimentare concordato. Dall’altro ci consente anche di imparare a conoscere il nostro paziente: le persone con un Disturbo Alimentare esprimono il loro mondo interiore attraverso il cibo, pertanto è attraverso il cibo che noi operatori riusciamo – quantomeno inizialmente – a comunicare ed interpretare moltissimi aspetti della persona che abbiamo davanti. Per esempio potremmo scoprire – nel caso di Marco – che al vertice della piramide si collocano le fragole perché quando era bambino e – secondo l’idea che ha di se – era rotondetto e paffutello sua nonna preparava la merenda con fragole e limone; questo spiegherebbe perché sebbene le fragole siano un alimento a bassa densità calorica sono comunque collocate al vertice della sua piramide. Capiremmo dunque che Marco potrebbe essere tremendamente spaventato dai colori e dal piacere, e (anche) su questo aspetto verterebbero la psicoterapia e la riabilitazione nutrizionale.
Potrei dilungarmi all’infinito sulla relazione esistente tra Amore, Piacere e Disturbo Alimentare, ma mi fermo qui. Per adesso…
Dott.ssa Eleonora Vinci Dietista Biologo Nutrizionista
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