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Di solito i miei articoli patrocinano caparbiamente l’eterna lotta contro la carbo-fobia, comune nelle varie (e discutibili) ‘filosofie’ dietetico-comportamentali di oggi e causa della loro non-sostenibilità nel lungo termine. Una battaglia (quasi) senza speranza, ne sono cosciente; ma “che cosa sarebbe la vita se non avessimo il coraggio di fare tentativi?”

Il mio corroborante credo di Dietista fonda le proprie radici sulla qualità onnivora dell’essere umano.

Voglio dire: se la natura ci ha affettuosamente donato una strabiliante abbondanza e variabilità di enzimi atti a digerire (e dunque utilizzare) ogni nutriente, un ricco pattern di meccanismi adattativi finalizzati al mantenimento delle funzioni vitali anche situazioni di emergenza, un motivo c’è. 

E probabilmente (ipotesi) è proprio lo stesso motivo per il quale non siamo in grado di digerire la cellulosa propria del regno vegetale (ragione del potere ipocalorico della verdura): funzione del cibo è quella, in primo luogo, di fornire energia e nutrienti per sopravvivere. Al mero scopo della sopravvivenza i nostri antenati ricavavano questi preziosi elementi procacciando e nutrendosi sia di animali che di vegetali (questi ultimi in grado di fornire loro una componente lipidica e/o glucidica).

Il grande problema è che l’habitat di oggi, cioè l’ambiente in cui viviamo, si discosta nettamente da quello di allora; a fronte di un ambiente dominato dall’eccesso di cibo e della sedentarietà, troviamo dei geni pressappoco invariati, ai quali dobbiamo la capacità di utilizzazione dei nutrienti (il metabolismo, cioè). E invece di farne tesoro cerchiamo costantemente di sabotarla, questa magnifica dote, escludendo – il più delle volte irragionevolmente – prima una e poi un’altra categoria di alimenti/nutrienti.

Vi siete mai chiesti se sia proprio tale condotta a dare un certo contributo alla comparsa, oggi, di certi deficit digestivi funzionali, in un’ottica evoluzionistica?

Torniamo alla carne, il titolo dell’articolo. Perché, in porzioni e frequenze adeguate, è così importante?

✅ Bianca o rossa (vedi note al termine*) non fa differenza: la carne rappresenta una fonte insostituibile di ferro. Quello effettivamente biodisponibile, cioè assimilabile. Nei vari alimenti, infatti, il ferro può essere presente in due forme: il ferro eme (assorbito dal nostro organismo per un 20-35%) e il ferro non eme (assorbito invece per circa un 2-5 massimo 10% poiché sottoforma di idrossido di ferro, oppure debolmente legato a composti organici come citrati, lattati e zuccheri); semplificando, il ferro eme –  quello che assorbiamo benissimo – è il ferro della carne. Il ferro non eme è invece contenuto nei vegetali (per esempio negli spinaci di Braccio di ferro). Questo significa se vogliamo raggiungere la stessa quota di ferro alimentare estrapolata da una porzione di carne attraverso un pasto esclusivamente vegetale dovremmo assumere quantità di vegetali equiparabili a quelli di un erbivoro. E forse non raggiungeremmo comunque il nostro obiettivo, a causa di tanti altri fattori anti-nutrizionali (acido fitico e fitati, acido ossalico e ossalati, carbonati, fosfati, polifenoli, le stesse fibre, la crusca dei cereali integrali…) che nei vegetali ostacolano l’assorbimento non solo del ferro ma anche di altri micronutrienti essenziali. La cottura degli ortaggi va a modulare ulteriormente la percentuale di ferro biodisponibile che finirà per risultare, per la frazione non eme, estremamente variabile. Il fabbisogno di ferro secondo i LARN è di 10 mg per l’uomo e per la donna in post-menopausa, 18 mg per la donna fertile, 30 mg per la donna in gravidanza. Il ferro è funzionale alla sintesi di emoglobina (proteina che trasporta l’ossigeno ai tessuti), mioglobina e collagene, nonché ai processi di respirazione cellulare e al metabolismo degli acidi nucleici. L’anemia sideropenica (cioè da deficit di ferro) può derivare, tra le molte cause, da una sua carenza a livello nutrizionale.

Vitamina B12 o cobalamina. Le fonti alimentari di B12 sono esclusivamente di origine animale (carne, uova, latte e derivati). La vitamina B12 è fondamentale, in sinergia con l’acido folico, alla sintesi dei globuli rossi e del DNA, ai processi di riparazione tissutale e infine, non meno importante, riveste un ruolo sostanziale per quanto concerne la funzionalità delle cellule nervose: la vitamina B12 interviene direttamente nella formazione della guaina mielinica, cruciale nella trasmissione degli impulsi. Si tratta di nutrienti essenziali: l’organismo non è dotato di capacità di sintesi endogena, pertanto si rende necessaria l’assunzione con la dieta. Carenze provocano specifiche forme di anemia (megaloblastica), deficit neurologici di varia entità (nei casi più gravi), fino alla spina bifida nel feto in via di sviluppo (ove la madre gravida si trovi in stato carenziale). In ragione della loro profonda connessione funzionale, una carenza di B12 o di acido folico riflette una carenza cronica di una o entrambe le vitamine. Il nostro organismo è in grado di generare riserve da cui poter attingere fino a qualche anno nel caso della B12, pochi mesi nel caso dell’acido folico. 

Proteine. Ritroviamo questo nutriente dalla funzione prevalentemente strutturale in carne, pesce, uova, latte e yogurt, formaggi, ma anche in legumi, cereali e derivati (pane, pasta e simili). Perché allora abbiamo sempre sentito dire che per assumere correttamente le proteine è necessario mangiare carne, pesce, uova e formaggi? Perché se è vero che anche gli altri alimenti sopracitati contengono proteine, è altrettanto vero che la loro qualità differisce a seconda delle varie fonti. Le proteine animali (carne, pesce, uova, latte e derivati) sono di elevato valore biologico (o nobili); quelle dei legumi hanno un valore biologico medio. Quelle di cereali e derivati, infine, basso. Cercherò di essere breve: quanto più nobile è una proteina, tanto più simile è nella sua struttura a quella dell’uomo, in termini di quantità e rapporto di amminoacidi essenziali. Perché una proteina possa essere perfettamente utilizzabile dall’organismo al fine di soddisfare i processi metabolici (che notare bene, sono moltissimi: limitarsi alla sola sintesi dei muscoli come vuole il luogo comune è estremamente superficiale!) deve possedere tutti gli amminoacidi essenziali (un elemento è essenziale quando l’organismo non è dotato di sintesi endogena, cioè autonoma, pertanto necessita di essere assunto dall’esterno). In questo senso le proteine animali sono ineffabili.

Di tutti i punti affrontati fino ad ora (ferro, vitamina B12, proteine nobili) l’ultimo è per certi versi il più flessibile e plasmabile, nel senso che è possibile conciliare una dieta di tipo vegetariano o vegano con una corretta assunzione di proteine nobili. Come? Associando la componente ‘legumi’ con quella ‘cereali e derivati’ (pane, pasta e simili). In questo modo si viene a creare una efficace miscela di proteine ad elevato valore biologico, in grado di sopperire alla richiesta di amminoacidi essenziali. Per curiosità: la scelta vegetariana rappresenta una delle varie ‘strategie’ alimentari adottate nel campo della nefrologia, quando ci troviamo a che fare con patologie a carico dei reni (dove il controllo dell’assunzione di quantità e qualità proteica è un elemento cruciale ai fini terapeutici).

Nella carne troviamo inoltre le altre vitamine del gruppo B (B1,2,3,6) e, in proporzione variabile, A, D, K (nota: le ultime tre non in misura significativa, fatta eccezione per la carne di fegato). Scarseggiano invece le vitamine antiossidanti come la C (frutta e verdura) e la E (l’olio di oliva extravergine fa da leader). Difatti, non esiste un alimento perfetto, sebbene la carne (e in misura molto molto maggiore l’uovo) ci si avvicini. 

Per garantire un adeguato apporto di tutti questi elementi non è necessario ingerire un bovino intero. Una porzione di circa 100 g (circa il palmo della vostra mano – dita escluse) per una frequenza di tre-quattro volte a settimana è più che sufficiente. Assunzioni eccessive sono invece, come ho ampiamente trattato in articoli precedenti, ingiustificate e altresì dannose.

L’equilibrio è un fenomeno meraviglioso…

Dott.ssa Vinci Eleonora 

Dietista Biologa Nutrizionista

Note:

(*) Rossa o bianca? Carni rosse: bovino (vitellone, manzo, bue, vacche), equino, ovino, suino, caprino. Carni bianche: pollo, tacchino, coniglio, agnello, vitello, capretto. La differenza risiede sostanzialmente nel colore, conseguenza del maggiore/minore contenuto in mioglobina (attenzione non emoglobina); questa proteina cresce in quantità in quegli animali che compiono sforzi muscolari più consistenti, nonché in quelli più ‘anziani’. Questo spiega perché agnello, vitello e capretto vengono inclusi tra le carni bianche, sebbene in generale resti valida la suddivisione ‘carni rosse: animali da macello; carni bianche: animali da cortile’.

Eccetto per il fatto che la carne bianca risulti più tenera e digeribile rispetto a quella rossa, le differenze nutrizionali a carico delle due tipologie non sono significative. Piuttosto sono da imputare al tipo di taglio, a seconda del quale varierà il tenore relativo in grassi e proteine. 

Dottssa Vinci Eleonora

Dietista Biologa Nutrizionista

(finale autentico).

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Perché è importante mangiare anche la carne 🥩

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