Spesso sentiamo parlare di alimenti ‘acidificanti’ ed ‘alcalinizzanti’, equilibrio, bilanciamento, neutralità, bene e male. Concetti verosimilmente assimilabili ad una sfera mistica e recondita, piuttosto che scientifica.

La dieta alcalina fonda le sue congetture sulla facoltà di determinati alimenti di modificare il pH dell’organismo. Gli alimenti rilascerebbero, una volta ingeriti, ‘rifiuti metabolici’ acidi (comunemente associati ad una connotazione negativa) o, viceversa, basici/alcalini. Un eccesso di rifiuti acidi incrementerebbe la vulnerabilità ad un corollario di patologie psico-fisiche nelle quali la gran parte degli individui trova un certo riscontro; oggi tutti siamo malati di qualcosa, siamo stanchi, sofferenti, sovrappeso o sottopeso, troppo gonfi, sgonfi o indolenziti. Il caso vuole che tra gli alimenti acidi si annoverino proprio quelli che abitualmente, nella dieta occidentale (che oggi è divenuta pandemica), vengono consumati in eccesso e che per tutta una serie di ragioni – che esulano dalla filosofia dell’acido e dell’alcalino, del bene e del male – sono responsabili dei vari disagi oggi connessi ad uno stile alimentare e, più in generale di vita, cronicamente scorretto. Troviamo inclusi nella lista degli alimenti presumibilmente ‘acidi’ carne, pesce, latticini, uova, cereali e derivati (in particolar modo raffinati), alcol e zuccheri. Intuibilmente e con modico stupore troviamo tra gli alimenti basici gli ortaggi come frutta fresca, verdura, frutta secca e legumi.

Non è necessario scomodare troppo la scienza per comprendere che una moderazione (non eliminazione) degli alimenti presunti acidi ed un incremento degli alimenti presunti basici possa condurre con elevate probabilità a tutta una serie di benefici ascrivibili a ragioni estremamente difformi tra di loro. Questo perché, se agli albori della dieta mediterranea l’assunzione di cereali e derivati (per fare un esempio) coincideva con il consumo di tuberi, pane fresco, pasta, riso e simili accompagnati da condimenti sobri e a base di verdure oggi assumere cereali e derivati (anzi, “carboidrati”) significa abusare di prodotti da forno elaborati e ad alto tenore di sale, zuccheri e grassi aggiunti. Se in passato carne, latticini, uova costituivano il frutto di piccoli allevamenti alimentati in modo sostenibile e, di conseguenza, la loro assunzione era vincolata dal punto di vista quali-quantitativo oggi l’aumento della loro richiesta ha promosso l’adozione di allevamenti intensivi e poco sostenibili, con inevitabili ripercussioni in termini di salubrità e qualità nutrizionale degli stessi prodotti.

Vale invece la pena di chiamare in causa alcuni concetti scientifici per chiarire il funzionamento biologico dell’organismo in riferimento al pH e all’equilibrio acido-base.

Innanzi tutto i valori di pH variano notevolmente all’interno del corpo a seconda dei distretti considerati: nello stomaco, per esempio, il mantenimento di un pH acido è cruciale ai fini di una corretta digestione degli alimenti e non solo. Al contrario, il pH ematico (cioè del sangue) è sempre leggermente alcalino. Tale alcalinità è mantenuta da una serie di meccanismi omeostatici (per esempio renali e respiratori) che lavorano costantemente in sinergia al fine di evitare anche la più modesta alterazione la quale, se protratta, risulterebbe incompatibile con la vita. Una variazione del pH ematico con discostamento dal range di compatibilità con la vita è dunque da ricondursi ad un malfunzionamento di tali meccanismi, come accade in certe patologie metaboliche. Cioè, nel contesto fisiologico, vale a dire di individui sani, ha poco a che vedere con l’alimentazione.

Trovo ragionevole spendere qualche parola anche a proposito di alimenti ‘acidificanti’ e osteoporosi, malattia progressiva dell’osso caratterizzata dalla deplezione del contenuto minerale. Diete ‘acidificanti’ promuoverebbero una maggiore perdita della densità minerale ossea. In effetti fino a poco tempo fa si riteneva che un eccesso di alimenti proteici di origine animale, attraverso l’incremento degli ioni idrogeno nel sangue, favorisse il depauperamento dello scheletro il quale, fornendo i propri ioni ossidrile, consentirebbe di tamponare l’acidità e ripristinare la neutralità. Studi clinici non osservazionali più recenti hanno concluso che le diete acidificanti non hanno alcun impatto sui livelli di calcio e di densità minerale ossea del corpo. Al contrario, sembrerebbero promuovere la salute delle ossa mediante un incremento della ritenzione di calcio e l’attivazione di IGF-1, che stimola il processo riparativo di muscoli ed ossa. Potenzialmente dunque, una dieta ricca di proteine e tendenzialmente acida potrebbe condurre ad una migliore salute delle ossa. Un work in progress senza ombra di dubbio meritevole di follow-up…

Dott.ssa Vinci Eleonora Dietista Biologa Nutrizionista

Dieta alcalina e dieta acidificante: tra scienza e filosofia

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