“Sono anni che tento invano di perdere peso. Ho provato un sacco di diete, da sola e presso vari specialisti, ci deve essere qualcosa di sbagliato in me; si, voglio dire, magari perdevo qualche chilo, talora parecchi, ma puntualmente la mia pancetta si ripresenta sempre più imperterrita! Sembra proprio determinata a farmi compagnia per tutta la vita. Fosse solo questo, Dottoressa! Mi sento sempre gonfia. Digerisco male, soprattutto quando mangio la pasta, la pizza e il pane. Ma non è finita: sentisse le mie gambe, come sono pesanti! Mi hanno parlato di ritenzione idrica. Ho provato creme, tisane disintossicanti e drenanti, integratori a base di erbe officinali, ma niente. Qualche settimana fa poi, al corso di Zumba, un’amica – cioè, la sorella dell’amica della mia collega – mi ha confidato di aver eseguito i Test delle intolleranze. Incredibile: è risultata intollerante ad un’infinità di alimenti! Così li ha tassativamente eliminati dalla propria dieta; ha anche iniziato a fare Yoga. In soli due settimane ha perso cinque chili, si sente sgonfia e leggera, e non solo! Sta benissimo, l’umore pare alle stelle: mi descrive sempre le ricette che prepara, le proprietà dei nuovi alimenti che ha scoperto e che, non senza un certo onere economico, acquista comodamente via internet. Così ho pensato di eseguire anch’io alcuni di questi test… Cosa mi consiglia, Dottoressa?”
Il presentimento di trarre qualche svantaggio da alcuni ingredienti alimentari (o da intere categorie di alimenti) è un fenomeno che attualmente sta eccellendo quasi come una moda. Ricondurre certi sintomi, perlopiù consueti e diffusi, ad una densa lista di fattori incriminati rappresenta una soluzione tanto rapida quanto semplicistica per risolvere disturbi generici: gonfiore, lievi e occasionali alterazioni dell’alvo, dispepsia (cioè una cattiva digestione), ritenzione idrica, fino al più deplorato classico aumento di peso. Basta eliminare in maniera prettamente meccanica certi alimenti e in pochissimo tempo si inizia a percepire un certo benessere. A sobillare tale credo contribuisce la miriade di prodotti – ormai comodamente reperibile sugli scaffali di ogni supermercato (dalla piccola alla grande distribuzione) – a base di alimenti modificati come il senza glutine, lattosio, grassi (più o meno idrogenati), olio di palma, zuccheri aggiunti, ecc. Parallelamente a questi fanno comparsa ‘nuovi’ alimenti, soprattutto per quanto concerne la categoria dei cereali e derivati (es. grano saraceno, miglio, amaranto, quinoa, sorgo, miso, farina di ceci, lenticchie, castagne, soia, segale, mais, ecc.) e dei sostituiti di carne e latticini (burger di soia, humus di ceci, tofu, bevande o yogurt di soia, mandorla, riso e così via).
Veniamo ai ‘test delle intolleranze’. La maggior parte non ha validità scientifica, tuttavia per chi non è del campo possono essere confusi con quelli pertinentemente utilizzati dall’allergologo (medico specializzato): alcuni sono infatti eseguiti mediante prelievi ematici, altri attraverso l’uso di strumenti all’avanguardia che infondono fiducia e sicurezza
Secondo il documento recentissimamente redatto dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) appartengono a tale categoria:
- test di provocazione-neutralizzazione intradermico e sub-linguale
- pulse test
- test bioenergetico dei virus e batteri
- test del riflesso cardio-auricolare
- iridologia
- test elettrodermici es. vega test, sarm test, biostrenght test
- test kinesiologico (DRIA e simili)
- analisi del capello (bioscreening)
- biorisonanza
- test citotossico (cytotest)/test di Byran/ALCAT
- dosaggio di IgG/IgG4
Lascio a fine articolo (**) un breve accenno ai test più gettonati, giusto per aiutarvi a riconoscerne qualcuno nel caso di un eventuale fortuito incontro.
Tornando a noi: i test sono facilmente accessibili, la procedura non comporta attese e prescinde da eventuali ulteriori visite specialistiche: in poche parole, l’iter è spaventosamente semplice.
Mi pare abbastanza doveroso prima di tutto fare il punto della situazione distinguendo le intolleranze dalle allergie alimentari. Cosa sono realmente le allergie alimentari? E cosa le intolleranze?
- le prima sono caratterizzate dall’impossibilità di dimostrare la presenza di anticorpi della classe IgE rivolti verso antigeni alimentari; possono essere causate da fattori propri dell’alimento quali contaminanti tossici (es. tossine nei funghi), da proprietà farmacologiche dell’alimento (istamina o tiramina in pesci, crostacei o formaggi stagionati, solfiti in bevande fermentate) o da infezioni gastrointestinali.
- le seconde (allergie) sono provocate da una reazione immunitaria nella quale gli anticorpi IgE attaccano antigeni in tal caso definiti allergeni; segue una reazione immunitaria più o meno violenta che può arrivare, nei casi peggiori, allo shock anafilattico.
Inoltre: mentre le allergie sono un fenomeno tutto-o-nulla (cioè bastano quantità infinitesimali dell’alimento killer per provocare la reazione, che peraltro è immediata), le intolleranze si manifestano dopo un lasso di tempo variabile rispetto all’ingestione dell’alimento X, necessario in quantità indefinite e molto soggettive (la soglia di tolleranza è cioè individuale).
Sui disturbi digestivi (gonfiore addominale, dispepsia, alterazioni dell’alvo, pirosi gastrica, reflusso gastro-esofageo, ecc.) apriamo un capitolo immenso in cui la biologia e la psicologia coadiuvano insieme per produrre disordini di vario tipo a carico del tratto gastroenterico.
Due sono le condizioni di intolleranza effettivamente riconosciute e diagnosticabili con specifici test:
- L’intolleranza al lattosio, provocata dal deficit dell’enzima (lattasi) adibito alla sua scissione e assorbimento intestinale: il lattosio indigerito persiste come tale nel lume intestinale provocando meteorismo e diarrea. La diagnosi avviene via breath test al lattosio.
- La celiachia, dovuta ad una reazione immunologica nei confronti di un antigene esterno quale il glutine. La diagnosi avviene ricercando tre tipologie di anticorpi nel sangue ed effettuando gastroscopia con biopsia intestinale.
Le allergie alimentari sono diagnosticate e trattate solo ed esclusivamente dal medico allergologo. Tra queste rientra l’allergia al nickel, la cui diagnosi viene praticata con il patch test (nota: nel caso degli alimenti questi possono veicolare il nickel in quanto additivo).
I disturbi provocati dalle reazioni allergiche o dalle intolleranze legate alle proprietà dell’alimento vengono facilmente riconosciute dal paziente (i sintomi si presentano solo in seguito all’assunzione di un particolare cibo), mentre le patologie più complesse (per esempio quelle che provocano disturbi digestivi di vario genere) richiedono un percorso diagnostico specialistico e test specifici per ciascuna malattia.
La sintomatologia delle intolleranze è comunque prevalentemente gastrointestinale, più che raramente coinvolge cute, apparato muscolo-scheletrico o sistema nervoso (con cefalea, depressione, ansia, irritabilità, scarsa concentrazione). Quello che è certo è che le intolleranze alimentari, ammesso che realmente se ne soffra, non provocano il sovrappeso (come viene riportato sulle riviste che sfogliamo dal parrucchiere o su moltissimi siti internet). Trattandosi infatti di un mal-assorbimento (vedi lattosio), potremmo al massimo supporre l’effetto contrario (e cioè un calo di peso) , poiché i nutrienti – e dunque le calorie – dell’alimento ingerito non sarebbero disponibili oppure lo sarebbero solo in parte: di conseguenza sarebbe plausibile sperimentare un dimagrimento (peraltro assolutamente non auspicabile in quanto legato ad un processo patologico)
Allora perché se ne parla così tanto?
Il problema è la speculazione.
In primo luogo il ‘professionista’ gioca sull’equivoco ‘gonfiore-peso-grasso corporeo’ nel quale il paziente – inesperto e sconfortato a causa dei propri disagi – può cadere.
In secondo luogo lo stesso operatore va a ricondurre tali disagi alla potenziale assunzione di alcuni alimenti o gruppi di alimenti, identificabili attraverso il corposo elenco di test.
Una volta stilata un’articolatissima lista di cibi tabù il gioco è fatto:
- il paziente esce dallo studio dell’operatore colmo di fiorenti speranze e aspettative nei confronti della nuova scoperta
- il nostro fantomatico professionista non deve sprecare tempo ed energie a creare un piano nutrizionale adeguato al paziente, accompagnandolo in un più o meno complesso percorso di educazione alimentare
- il nostro fantomatico professionista viene profumatamente pagato
Ovviamente le liste degli alimenti proibiti includono una gamma di prodotti esageratamente ampia che, non a caso, sono quasi sempre gli stessi e soprattutto sono quelli abitualmente consumati in modo eccessivo dai soggetti in sovrappeso (latte e formaggi, derivati del frumento con o senza lievito, olio di oliva, ecc.). La dieta correlata all’esclusione di tali alimenti risulterà scarna e fondata su severe restrizioni alimentari. Ecco perché, quando seguita pedissequamente, sperimenteremo la tanto bramata perdita di peso: il dimagrimento non è provocato – come in buona fede continua a credere il paziente – dall’esclusione degli alimenti cui lui sarebbe intollerante, quanto dalla restrizione energetica che ne deriva.
Cosa può accadere nel lungo termine? Tante cose.
- se prolungata, la ‘dieta’ può indurre uno stato di malnutrizione più o meno severo
- alterazioni del comportamento alimentare fino all’insorgenza di veri e propri disturbi alimentari prima latenti
- una volta abbandonata la ‘dieta’, quasi inevitabilmente il recupero del peso perso: il soggetto infatti non ha appreso i precetti e le nozioni necessari a condurre(e mantenere) uno stile alimentare corretto e finalizzato al mantenimento del peso fisiologico
Ultimo rapido riferimento ai test genetici sul DNA: rilevando polimorfismi a carico di certi geni questi test sarebbero in grado di individuare una predisposizione per l’individuo in esame a sviluppare una data intolleranza, oppure una maggiore o minore capacità di metabolizzare certi nutrienti, o addirittura geni che predispongono allo sviluppo dell’obesità.
Ora, le correlazioni tra DNA, obesità e metabolismo sono estremamente complesse. Ma resta il fatto che il ruolo dell’ambiente (e cioè dello stile di vita: dieta ed esercizio fisico) ha un peso indiscutibilmente preponderante! Dunque, anche in tal caso, si viene a creare il perverso gioco sopra illustrato.
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Dott.ssa Vinci Eleonora Dietista Biologa Nutrizionista
(**) “Test di provocazione-neutralizzazione intradermico: l’allergene viene somministrato per via intradermica, si attendono 10-12 minuti per valutare la comparsa di sintomi. I sintomi riprodotti non sono specifici né per gravità o tipologia.
Test kinesiologico: il paziente afferra con la mano la bottiglia di vetro che contiene l’alimento da testare, mentre con l’altra mano spinge contro quella dell’esaminatore. La presunta perdita di forza nell’opporre resistenza viene vista come segnale della presenza di un’allergia nei confronti del contenuto della bottiglia. La versione moderna di questo test si chiama Dria: la forza viene misurata a livello di quadricipite, legando alla caviglia del paziente una cinghia collegata al peso da sollevare e al pc.
Vega Test: si basa sull’applicazione di corrente elettrica in punti specifici del corpo che corrispondono ai punti dell’agopuntura nella medicina cinese. L’apparecchio ha due elettrodi: uno applicato sulla cute, l’altro alla macchinetta.
Biorisonanza: si basa sulla convinzione che il corpo emetta onde elettromagnetiche “buone” o “cattive”, misurabili con un determinato strumento che poi le rimanderebbe al paziente in versione “purificata”.
Il Test del capello trova l’unica applicazione scientifica nella ricerca di eventuali droghe.
Test citotossico: al sangue o alle sospensioni di globuli bianchi viene aggiunto uno specificio allergene che – in caso di allergia – dovrebbe modificare le cellule, fino alla loro lisi. Il metodo non ha mai trovato validazione scientifica e non è riconosciuto dalle Società Scientifiche di Allergologia nazionali e internazionali.” [Fonte: documento FNOMCeO]
👍 Penso faccia tutto parte del “pensiero magico” che hanno molte persone in contrapposizione con quello scientifico. È più appagante credere che ci sia un rimedio miracoloso a tutti i disagi, piuttosto che informarsi e seguire scomode indicazioni che prevedono tempi lunghi e rinunce.