Una buona fetta di lettori supporrà di aver chiara la risposta, quantomeno al primo dei due quesiti. Data l’attuale tendenza a predicare fatue teorie su dieta, cibo e benessere (spesso oserei confidare patologica) molti conosceranno già il significato di Indice di Massa Corporea (IMC) o Body Mass Index (BMI). Il parametro si evince rapportando l’altezza di un soggetto (espressa in metri al quadrato) al relativo peso (espresso in chilogrammi). Il risultato consente di collocare un individuo all’interno di un certo range che, stabilito su basi scientificamente fondate, lo identifica come sottopeso, normopeso, sovrappeso o obeso. Un peso che corrisponde ad un IMC compreso tra 20 e 25 (fascia ‘normopeso’) significa che risponde ad un minore rischio di mortalità e morbilità e, dunque, ad uno stato di salute presumibilmente ottimale.
Certamente non è mio intento quello di confutare l’evidenza scientifica, piuttosto quello di soffermarmi in modo più accurato sull’argomento e chiarire alcuni concetti che spesso la propaganda tende a sorvolare.
Rientrare all’interno di un range non significa ottemperare ineccepibilmente ad un determinato valore. Facciamo un esempio. Un soggetto alto 1,70 m avrà un IMC corrispondente a 25 pesando 72,2 kg, mentre avrà un IMC pari a 20 se peserà 57,8 kg (poiché se IMC= kg/m^2 allora kg=m^2 * IMC). Tra il primo e il secondo risultato intercorrono ben 14,4 kg di differenza. Iniziando una dieta che, partendo da un IMC al di fuori del range ottimale, mira a raggiungere un valore ad esso conforme, piuttosto che parlare di ‘peso ideale’ è più coretto riferirsi ad un ‘peso target’. A differenza del primo, il peso target varia a seconda dell’attuale peso del paziente e, non meno importante, della sua storia del peso. Per esempio: se un individuo riporta in prima visita un IMC di 38, sarebbe irragionevole pensare di stabilire come primo obiettivo del percorso terapeutico un IMC di 22; soprattutto se, ricostruendo la sua anamnesi ponderale (cioè l’andamento del peso nel corso della sua vita) si evince che non ha mai portato un peso pari ad un IMC inferiore a 25 (neanche in un contesto di alimentazione e stile di vita più adeguato rispetto a quello attuale).
Bisogna sempre contestualizzare. Porre (e porsi) obiettivi smodati rispetto alla tangibilità ha come unico effetto quello di aumentare l’ansia e le aspettative, peggiorando la qualità dell’intervento.
Poiché (come di consueto) mi sono dilungata oltre il limite di tolleranza umano, ritengo saggio prorogare la risposta del secondo quesito (‘QUANTO DEVE DURARE LA DIETA’?) al prossimo articolo.
Dott.ssa Vinci Dietista Biologa Nutrizionista
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