La risposta risiede nei nostri geni. Il nostro pattern genetico non è dissimile da quello degli antenati primitivi, che nel corso del processo evolutivo hanno selezionato – secondo un processo adattativo – geni potenzialmente favorevoli alla sopravvivenza, in determinate condizioni e circostanze. Mentre oggi è più frequente tentare di scongiurare un aumento di peso (favorito dal contesto socio culturale) in passato la minaccia preminente era rappresentata dalla carestia: il pasto non era un evento scontato e routinario. Per alimentarsi l’uomo doveva cercare e procacciarsi il cibo attraverso pratiche che implicavano un elevato dispendio energetico. Dal momento che conquistare il cibo si configurava come una vera e propria impresa, l’organismo ha attuato delle risposte adattative all’ambiente (cioè alle sue circostanze e alle richieste ad esso legate): se mangiare è un atto precario, farò si che ogni qualvolta venga introdotto del cibo (in eccesso rispetto alle necessità energetiche di quel momento) questo vada ad accumularsi sotto forma di riserva (tessuto adiposo); in tal modo, a fronte di una possibile e anzi probabile carestia, i miei fabbisogni saranno assicurati e la sopravvivenza garantita.
Allo stesso modo, in presenza di un deficit energetico protratto (come nel digiuno da mancanza di cibo, ma anche quello indotto da una dieta ipocalorica) ridurrò il mio metabolismo al fine di minimizzare le spese energetiche e massimizzare la capacità di accumulo.
Ebbene, noi funzioniamo esattamente come l’uomo primitivo: quando iniziamo una dieta ipocalorica inizialmente assistiamo ad un calo ponderale che, pur variando di entità e rapidità da soggetto a soggetto, procede in modo pressoché costante. Questo elemento funge solitamente da rinforzo positivo che ci motiva a perseguire la dieta con positività. Tuttavia col tempo l’organismo impara a ‘capire’ che il deficit energetico non è un evento sporadico (ma al contrario si sta prolungando nel tempo), di conseguenza risponderà (come quello dell’uomo primitivo) riducendo il proprio metabolismo.
Quindi: più sto a dieta e meno calorie introduco, meno calorie consumerò. Incrementando la restrizione nel vano tentativo di reinnescare il calo di peso, non farò che abbassare ulteriormente il metabolismo. E così via.
L’esercizio fisico assume un ruolo cruciale per garantire la fuoriuscita dal circolo vizioso. Il lavoro muscolare consente lo sviluppo di massa magra metabolicamente attiva, cioè la componente corporea responsabile del dispendio metabolico. Muovendomi genero muscolo, più muscolo significa più metabolismo (e dunque dieta meno restrittiva). Un esercizio fisico moderato e costante è parte integrante del processo terapeutico: dieta e attività fisica vanno di pari passo.
PER FAVORIRE UNA CALO DI PESO OTTIMALE
1)Evitare diete troppo restrittive (in termini di calorie)
2)Promuovere un’attività fisica graduale, moderata, costante e sostenibile nel lungo termine
Dott.ssa Vinci Eleonora Dietista Biologa Nutrizionista
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